Enzo Mari (autoritratto)
“Io sono un artista e lavoro come un artista, proprio per questo, perché so che cosa è l’arte, non sopporto gli oggetti sculture perché sono soltanto il frutto delle arti applicate… L’artista è colui che dà forma a un valore collettivo, in cui tutti si riconoscono.” Enzo Mari
Dal 17 ottobre 2020 al 12 settembre 2021 alla Triennale di Milano in programma c’è la mostra “Enzo Mari” curata da Hans Ulrich e Francesca Giacomelli. Stefano Boeri, Presidente della Triennale Milano, lo descrive come “una costellazione”, racconta:
“Conoscevo Enzo Mari da molto tempo perché mia madre Cini Boeri era un architetto e negli anni Sessanta insieme a Marco Zanuso, Gae Aulenti e poi, Alessandro Mendini e Ettore Sottsass faceva parte di un movimento che stava storicamente cambiando la storia del design italiano. Quindi ho conosciuto Enzo perché faceva parte di questo gruppo ma lo ricordo anche come un creativo estremamente solitario.” (1)
(2021 – Milano – Triennale di Milano – Mostra Enzo Mari curata da Hans Ulrich Obrist con Francesca Giacomelli – Photo courtesy: Pinterest)
Di lui infatti mi viene da parlare come di due personaggi distinti, antagonisti e complementari: il designer e il teorico, entrambi si sopportano e si usano. (…)
La logica di Mari designer è quella della tabula rasa, i suoi progetti sembrano ri-solvere ogni volta e per la prima volta un problema , e il carattere di “soluzione” risiede spesso nell’ invenzione di un modo inatteso di risolvere un problema vecchio. Che si tratti di un vaso, un cestino, una zuccheriera, un giunto o una sedia, le proposte di Mari hanno dell’inevitabile, si propongono quasi come teoremi tridimensionali; la loro qualità formale vorrebbe essere un mero accidente. In realtà l’attenzione alla forma è per Mari decisiva, una forma però non invadente, non prevalente, semmai conseguente e misurata. Dove invece Mari ama l’eccesso è nei panni del teorico. Egli non conosce la mediazione e il compromesso; il suo messaggio è apodittico e globale. L’atto del progettare si carica nelle sue parole di un significato generale, antropologico, quasi trascendente. Parafrasando Lenin potrebbe dire “il progetto è sempre rivoluzionario”, ma il design, aggiungo io, né é una debole parodia. Questo ostinato totalitarismo e la fede nel raziocinio creativo, (che permettono a Mari di non prestare molta attenzione ai “fasti” del design italiano), sono anche la molla che lo fa ricominciare ogni volta da capo anche quando intraprende implacabile una discussione con un nuovo o vecchio interlocutore sul destino del design, le sue utopie, i suoi deboli estetismi. Per fortuna in fondo a questo aggrovigliato cratere riposa attenta l’anima del poeta.
I due Mari – Testo Courtesy Franco Raggi (2)
Definito “filosofo del progetto” da Vicky Alliata, Enzo Mari si forma all’Accademia di Brera di Milano. “Dunque: io abitavo a Brera e mi capitava di vedere il mondo esotico degli artisti e di subirne il fascino. Decido di iscrivermi all’Accademia di Brera perché è l’unico livello di istruzione superiore a cui si può accedere senza diploma liceale, solo con un esame di ammissione. Contemporaneamente leggo un libro di critica d’arte e non ci capisco un cazzo…” (3) Nel decennio Cinquanta esplica un’intensa attività con studi sulla percezione ottica dello spazio tridimensionale e sulla comunicazione visiva. Nel 1963 coordina il gruppo italiano Nuova Tendenza, di cui organizza l’esposizione alla Biennale di Zagabria. Inizia l’attività di designer, con Bruno Munari nasce la macchina per caffè espresso “Diamante” per La Pavoni nel 1957. Tra gli oggetti di dsign la libreria Glifo per Gavina (1969). Nel 1970 autore del libro Funzione della ricerca estetica. Il divano Day Night per Driade (1972), la sedia Delfina per Driade (1974), le poltrone e divani Pecorella per Driade (1979). Nello stesso anno pubblica il libro Ipotesi di rifondazione del progetto. Sempre nel 1979 invitato alla mostra “Italy: The New Domestic Landscape”, interviene con un “non progetto” e organizza una contro mostra all’interno del Compasso d’Oro. In quel periodo ricopre la carica di Presidente dell’Adi. La sedia Tonietta per Zanotta (1985).
(1985 – Sedia “Tonietta” per Zanotta – Enzo Mari – Photo courtesy: Pinterest)
Consulente per Enti pubblici, per esempio, per l’arredo urbano di Milano. Si dedica anche alla didattica. (4) Nel 2002 la facoltà di Architettura del Politecnico di Milano gli conferisce la laurea ad honorem in disegno industriale. I suoi lavori sono esposti alla Biennale di Venezia, alla Triennale di Milano, allo Schloss Charlottenburg di Berlino, al M.I.C. di Faenza, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, al MoMA di New York e alla Triennale di Milano.
Sul sito del brand di illuminazione di Ernesto Gismondi troviamo le lampade progettate da Enzo Mari. Fin dal 1962 Artemide è alla ricerca di nuove direzioni progettuali, come testimonia il concorso indetto da Domus e Adi, per “Quattro apparecchi di illuminazione” (il bando è pubblicato in Domus 398, gennaio, 1963), vinto dal gruppo di Architetti Urbanisti Città Nuova con la lampada Nesso, che darà l’inizio nel 1964 alla produzione di arredi in plastica, e alla lampada Polluce di Enzo Mari, in catalogo dal 1965. (5)
(1965 – Lampada “Polluce” per Artemide – Enzo Mari – Anna Fasolis – Photo courtesy: Pinterest)
(1976 – Lampada “Aggregato” per Artemide – Enzo Mari – Gianfranco Fassina – Photo courtesy: Pinterest)
Tu ha fatto una sola lampada l’ “Aggregato” per Artemide, che non è una lampada ma un sistema di lampade dove sembra espressa una volontà di “nondisegno”, molto moralista, ma anche molto ingegnosa; secondo te il design tra etica, estetica e tecnologia- da che parte deve andare ?
Io non so cos’è il design. Posso dirti che cos’è l’arte, cos’è la qualità ma non so qual è la cultura di riferimento del design né dove vada. Perchè invece di uno scenario di riferimento ne ho tre: Arte, Scienza (che è poi tecnologia) e Rapporti di produzione.
Questi tre scenari contengono tutto il sapere dell’uomo. Fuller dice: “il design è una pratica abietta”, e infatti non si conosce nessuno che abbia sintetizzato questi tre scenari mentre il design ci prova.
Arte. L’arte ha la funzione di denotare i sogni dell’uomo; nel design ben che vada si tratta di arte applicata.
Tecnologia. I sogni non c’entrano centrano le ragioni della materia; nel design ben che vada si tratta di bassa tecnologia o di simulazione di tecnologia.
Rapporti di produzione. Se il design deve migliorare la qualità della vita e la vita è fatta di lavoro il design dovrebbe migliorare la qualità del lavoro. In realtà la gente sviluppa il lavoro in condizioni di bassa qualità e poi scarica nel “domestico” il desiderio di qualità. Nel design ben che vada poi lavorare su qualche piccolo episodio mentre nella grande produzione di serie il progetto e imposto dal Marketing.
Testo Courtesy Franco Raggi (6)
Stefano Boeri definisce il centrotavola “Putrella” (1958) per Danese Milano “Forse uno degli esempi più incredibili della classicità di Enzo Mari”. Archetipo formale per la sua forza espressiva essenziale è considerato come il paradigma della ricerca e del lavoro di Enzo Mari. Realizzato in ferro verniciato trasparente, è in edizione limitata di 100 esemplari l’anno.
(1958 – Centrotavola “Putrella” per Danese Milano – Enzo Mari – Photo courtesy: Pinterest)
Nella cartella “sopralluogo” riferita al progetto della mostra “Enzo Mari e diecimila milioni di alberi di sugi” troviamo la foto che segue.
(2005 – Milano – Triennale di Milano – Piero Castiglioni e Enzo Mari – Photo courtesy: Pinterest)
Enzo Mari reclama l’urgenza di ragionare sul design in termini di qualità complessiva del progetto. La mostra racconta l’incontro e la collaborazione del noto progettista italiano con l’azienda giapponese Hida Sangyo, specializzata nella realizzazione di mobili in legno. Il sugi è una specie autoctona di cipresso massicciamente impiegata dai giapponesi per far fronte alle necessità di rimboschimento rapido delle zone devastate durante la Seconda Guerra Mondiale. Nella zona di Hida, dove lo spirito della cultura artigianale giapponese é tuttora vivo, nascono i mobili in legno di sugi giapponese curati da Enzo Mari, il grande maestro del design italiano. Hida Sangyo promuove da tempo lo sviluppo di tecniche di lavorazione: è riuscita a conferire maggiore resistenza al legno di sugi, considerato sino ad allora inadatto all’utilizzo per i mobili data la sua peculiare morbidezza. Il design di Enzo Mari, valorizza la gradevolezza al tatto e le dolci sfumature caratteristiche del legno di SUGI. I mobili sono presentati alla Triennale, il tempio milanese del design industriale, nel mese di aprile 2005.
Non ti sembra un po’ vaga la parola progetto? Progetto di cosa, quando, per chi?…
Quando si parla di progetto secondo me si equivoca. perché si confondono due procedimenti assolutamente legittimi, ma diversi che io chiamo Progetto proprio e Progetto improprio.
Il Progetto improprio è quello che si insegna prevalentemente nelle scuole ed é quello dove la risposta è già data.
Perché è già data?
È già data perché è nei manuali, perchè è implicita nel procedimento stesso che ripercorre itinerari creativi già sperimentati e descritti… Magari è una variante di un problema già risolto, una sua evoluzione. Quando si parla ad esempio della cosa farà la progettazione assistita dal computer (CAD) delle grandi conquiste e prestazioni e mirabilie che farà io dico che farà solo dei Progetti impropri, magari legittimi, utili, ma prevedibili.
Perché utilizza metodi e procedimenti noti e un metodo contiene già la risposta.
Per fare un paragone é come un ingegnere che si accinge a progettare un ponte con una manualistica dove siano definiti, materiali, metodi di calcolo, tipologie strutturali eccetera, carichi ammissibili eccetera. Qualunque soluzione trova essa sarà già contenuta nelle premesse.
Ma progettare è anche l’esercizio difficile di scegliere la soluzione o l’insieme di soluzioni più adeguate, armoniche, imprevedibili nell’infinita gamma combinatoria delle componenti del progetto. Una lampada è una delle infinite varianti strutturali, formali, illuminotecniche, costruita attorno al bulbo luminoso. Un’ architettura è una delle infinite possibilità che abbiamo di mediare tra la luce del sole e lo spazio chiuso e il suo risultato si conosce solo alla fine.
Ed è legittimo, ma il Progetto reale, quello che io chiamo Progetto proprio, è molto più raro, rischioso, diseconomico. Sto naturalmente schematizzando e semplificando ma il nocciolo qualitativo è questo, e l’equivoco generalizzato. Il Progetto reale è quello del quale nella “Biblioteca borgesiana” non c’è ancora risposta. Uso un’allegoria: è come se tu entrassi in una stanza buia con gli occhi bendati, e non hai riferimenti; cosa fai?
Dimmelo tu
Fai molti esperimenti, a partire dalla loro materialità ne ridiscuti i postulati teorici. Come il bambino appena nasce, che non sa nulla ma inizia a costruire da subito istantaneamente un metodo sperimentale. Allora più tu esperimenti, più modelli costruisci, più conoscenza immagazzini, più hai la possibilità di riconoscere l’imprevisto e il nuovo nel momento in cui ti si presenta davanti. Come Colombo quando “scopre” l’America credendo di essere in India, poi nei viaggi successivi….
Quindi il tuo metodo è una specie di simulazione di ignoranza. Agire su ogni problema come se non si sapesse nulla, ma con un metodo aperto di raccolta di dati e di relazioni.
Si ed è in fondo per questo che io polemizzo con il mondo del design e con chi lo progetta credendo di cavalcare l’innovazione. Perché a parte qualche raro caso, in questo mondo di oggetti tutti diversi ma tutti eguali, si fa solo del Progetto Improprio.
Fammi un esempio di un oggetto che non lo sia.
La lampadina di Edison, Il boomerang, l’arco…
D’accordo ma queste sono “invenzioni”, oggetti/progetti nei quali una intuizione geniale sposta di colpo in avanti il fronte della ricerca e le possibilità di fare. Non si puo pensare che il design sia reale solo se è sempre utile ed innovativo. Al di là del campo delle invenzioni fammi un esempio di oggetto di design contemporaneo nel quale tu riconosca questa qualità innovativa…
Ad esempio la cupola geodetica di Fuller per le implicazioni utopico-tecnologico, oppure Il televisore “Black” di Marco Zanuso per le implicazioni simbolico-espressive
(Cupola geodetica – Richard Buckminster Fuller – Photo courtesy: Pinterest)
Quindi riconosci al linguaggio degli oggetti la capacità di forzare i codici esprimere qualità nuove non legate solo alle prestazioni. In fondo tu hai cominciato lavorando nella maniera più astratta e insieme concreta sui linguaggi, cioè facendo l’artista, non ti senti un po’ in mezzo al guado…
In effetti io ho un problema quando devo spiegare il mestiere che faccio, perché la gente accetta solamente dei ruoli sociali e professionali definiti e io non sono né designer né artista… per esempio quando ho elaborato la proposta per piazza del Duomo non puoi immaginare quanti degli addetti ai lavori non digerissero il fatto che a fare quel progetto fosse un non laureato in architettura; allora se devo pensare a chi sono, chi è l’artista chi è il tecnico, faccio questa considerazione. L’artista è colui che dà forma ai grandi valori di una società e fino alla rivoluzione francese questi valori sono quelli del sacro del divino. dalla Rivoluzione in poi emerge la piccola borghesia la moltiplicazione della merce la cultura del kitsch e l’arte si trova ad un bivio, o riflettere su stessa e sul suo pennello come ha fatto Seurat o sulla merda del mondo come ha fatto Goya.
Dialogo tra Enzo Mari e Franco Raggi (6)
Bibliografia:
(1) https://triennale.org/magazine/em-stefano-boeri
(2) Courtesy Franco Raggi – I due Mari – pubblicato su Flare – Architectural Lighting Magazine – n°6 – settembre 1992 – pag. 102
(3) Courtesy Franco Raggi: Dialogo tra Enzo Mari e Franco Raggi pubblicato su Flare – Architectural Lighting Magazine – n°6 – settembre 1992 – pag. 96
(4) Anty Pansera, Dizionario del design italiano, Milano, 1995, Cantini Editori
(5) Alberto Bassi, La luce italiana, Milano, 2003, Electa
(6) Courtesy Franco Raggi: Dialogo tra Enzo Mari e Franco Raggi pubblicato su Flare – Architectural Lighting Magazine – n°6 – settembre 1992 – pag. 96
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Questa sezione è dedicata al design e alla storia dell'architettura. Cercheremo con l'analisi storica di capire i bisogni attuali e quali saranno gli obiettivi futuri. Inoltre parleremo dei concorsi, le porte di accesso al mercato del lavoro, delle associazioni di settore e dell'indotto reale dietro le multinazionali produttrici di lampade.