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Un primo piano di Bruno Munari

I Grandi Maestri | Bruno Munari

Bruno Munari (autoritratto)

La luce, la leggerezza, l’invenzione: incontro con Bruno Munari, ironico, lieve e sorridente “monello” di ottanta anni

La ricerca dell’essenziale (“less is more”), una quasi struggente ricerca dell’entropia all’inverso, che vuol dire poi, alla fine, ritrovare un ordine. Ma come è l’aquilone che rende “visibile” il vento, così un po’ tutti abbiamo imparato da lui a vedere di più. Ed abbiamo anche imparato che si può giocare e nel contempo fare. Un bel punto di riferimento: quest’uomo ludens e faber insieme.

“Un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada. Noi non facciamo lampade, mi risposero. E io: vedrete che le farete” Bruno Munari

  • 1958 – Lampada da tavolo “Bali” per Danese Milano – Bruno Munari

Foto dall'alto della lampada accesa(1958 – Lampada da tavolo “Bali” per Danese Milano – Bruno Munari – Photo courtesy: Catalogo Danese Milano)

  • 1959 – Lampada a sospensione “Esagonale” per Danese Milano (Ora prodotta da Artemide) – Bruno Munari

Due lampade Esagonale a soffitto(1959 – Lampada a sospensione “Esagonale” per Danese Milano – Bruno Munari – Photo courtesy: Catalogo Danese Milano)

  • 1961 – Lampada a sospensione “Capri” per Danese Milano – Bruno Munari

La lampada a sospensione Capri progettata da Bruno Munari(1961 – Lampada a sospensione “Capri” per Danese Milano – Bruno Munari – Photo courtesy: Catalogo Danese)

  • 1964 – Lampada a sospensione / terra “Falkland” per Danese Milano – Bruno Munari

L'innovativa lampada Falkland, a sospensione(1964 – Lampada a sospensione / terra “Falkland” per Danese – Bruno Munari – Photo courtesy: Pinterest)

Può accennarci qui alle Sue esperienze in tema “luce”?

Vorrei rammentare subito lo spettacolo con la luce a Firenze. Poi ho fatto delle ricerche con la luce polarizzata – con un oggetto che io chiamo polariscopio – due strisce di Polaroid orientate una a 90° rispetto all’altra – per cui i colori che si vedono sono sempre complementari. Questo è un oggetto di arte dinamica, di arte cinetica, che ho fatto negli ’50. Avevo preparato dei vetrini da diapositive, da una parte un Polaroid, dall’altra il vetro. Il raggio di luce lo intercetta con un secondo Polaroid, lo ruoto ed i colori cambiano. Questo l’ho fatto vedere a Cambridge, al signor Land, l’inventore del Polaroid, il quale ne rimase colpito e mi disse: “Ma questa è l’arte del Polaroid, dobbiamo farne qualcosa”. Perché, vede, Land l’aveva sempre considerato come sostitutivo dei prismi di Nicholas, per l’esplorazione al microscopio, per cui secondo gli spessori e le strutture dei materiali cambiavano i colori. Ma Land non l’aveva mai visto sotto l’aspetto estetico.

Vorrei farLe ora una domanda tutt’altro che facile, anche perché la luce, con le sue componenti psicologiche, implica per ciascuno delle percezioni diverse. Quale è il Suo personale rapporto con questo sofisticato “materiale”, e se per lei è vissuto come importante.

Si, in tanti sensi. Come vede, per esempio, in questo ambiente non c’è un lampadario. Ma guardi là, vede quella specie di tasca con un vetro sopra? (Accenno a una delle sue famose lampade). Vede, spesso la sorgente di luce disturba, mentre la luminosità è quella che conta, con tutte le sue gradazioni. Di ciò ho avuto conferma in Giappone: la casa giapponese tradizionale ha infatti una finestra continua, fatta con un telaio a listelli di legno quadrati, ricoperti di carta di riso, che dà una luce morbida e bellissima. Mentre noi, in occidente abbiamo spesso i contrasti netti, luce – buio, luce – buio. Oppure delle vetrate. La luce, come l’acustica non sono sovente considerati come si dovrebbe dagli architetti negli ambienti. Guarda solo l’acustica di certi ristoranti … In conclusione: francamente, ritengo che molti non sappiano usare la luce.

Bruno Munari all'opera mentre allestisce una mostra al museo Louvre(1970 – Parigi – Louvre – Allestimento mostra “Contenir regarder joure” – Bruno Munari – Photo courtesy: Libro “La luce italiana”)

Una domanda già un po’ polemica verso il modo di impiegare la luce. Pensa che si possa fare meglio di quanto si fa ora con la luce, con l’illuminazione, per “vivere meglio”?

Si, oggi si fa un cattivo uso della luce, anche perché molti progettisti non pensano alla progettazione illuminotecnica, progettano le lampade e il lampadario come oggetto. Io sono esplicitamente per una luminosità diffusa, nella quale, si, certo, ci possono essere dei punti più accentuati, ma non delle sorgenti luminose per così dire “dirette contro le persone”. Questo è un punto molto importante. Vedi, ci dovrebbe essere, secondo me, negli ambienti in cui si vive, la possibilità di guardare la luce (non tanto con il reostato, che è troppo meccanico, ma con sorgenti luminose di vario tipo). Praticamente si potrebbe “comporre” la luce a seconda delle esigenze, per cui, ad esempio, se accendo una piccola luce che sta dietro un mobile ne ho una luminosità che va bene in certi momenti in cui voglio riposare,se invece devo lavorare, allora ho bisogno di una luce diversa. Poi mi viene in mente un’altra cosa. In un ristorante nel centro di Milano, un architetto mi aveva chiesto di aiutarlo a realizzare l’illuminazione del ristorante stesso: dal momento che era stato fatto in un cortile coperto in qualche modo, ho realizzato una specie di cupola di Fuller – una struttura perfettamente semisferica ma leggermente “mossa” e come sospesa. Era fatta di triangoli di un metro di lato, triangoli equilateri in listelli di legno ricoperti di juta, collegati e sospesi con dei fili. Sopra a questa c’erano delle luci di varia natura(da quelle a incandescenza a quelli a vapori, in tanti tipi) e dei reostati che regolavano la luce in modo che non fosse uniforme e costante, ma variabile e mutevole come quando passano le nuvole. Dentro a questo ambiente, si creavano illuminazioni di varia natura, che cambiavano leggermente, mutavano intensità, mutavano di tono. La sera dell’inaugurazione, molti presenti hanno detto: “Mi piace questo ambiente perché vi è una luce naturale…”. Non si vedeva nessun apparecchio, nessun faretto: solo questa specie di cupola bianca a struttura triangolare e tutta luminosa, come se fuori ci fosse il sole. Questo è un modo di usare la luce come effetto decorativo, forse un altro avrebbe dipinto le nuvole sul soffitto, io invece ho realizzato l’effetto luminoso del passaggio delle nuvole.

Se lei dovesse realizzare un apparecchio illuminante, quale rapporto vedrebbe tra l’oggetto apparecchio in sé e la sua funzione illuminante?

Vede, questa domanda può avere diversi tipi di risposta e non uno solo. Le due estremità, diciamo, del problema sono queste: o l’oggetto “sparisce” come in tutti questi casi descritti o visti, per cui quello che conta è la luce, o se invece l’oggetto deve essere una “scultura luminosa”, allora è tutto un altro problema e va bene qualsiasi cosa. Personalmente cerco sempre di fare in modo che l’oggetto abbia si anche una funzione decorativa, ma non sia, per esempio,”l’imposizione” di una forma, di un gusto, di una moda: sia quindi come una forma naturale. Per esempio, vede quella lampada di maglia là? La sua forma io non l’ho mica disegnata, è venuta fuori da sola con la tensione e il peso. Una luce messa sopra illumina tutta la maglia fino in fondo e crea dei bellissimi effetti di passaggi di luce. Cioè, vede, se l’oggetto illuminato dalla sorgente luminosa ha una sua presenza con una caratteristica estetica relativa al materiale e alla forma, allora c’è una ragione, la sua funzione è giustificata. Poi, la luce l’ho usata anche in un altro modo, per mettere in evidenza la struttura armonica di un dipinto di Raffaello a Brera, senza toccare il dipinto. Bene, supponiamo di vedere ora la sala dove è esposto “Lo sposalizio della Vergine” di Raffaello. La struttura armonica di questo dipinto è in relazione con le misure stesse – c’è una geometria interna. Questa struttura armonica l’ho fatta incidere su una lastra di perspex dello spessore di sei millimetri con una piccola incisione di un millimetro che “disegnava” sulla lastra la struttura. Ora, siccome il perspex è un conduttore di luce, questi segni diventavano luminosi. Ho tirato quattro fili, con il permesso dell’Accademia di Brera, in modo da formare una specie di “piramide ottica”. Questa (Bruno Munari mi fa vedere uno schizzo che visualizza l’intervento) è una sezione della piramide con l’incisione e con un sostegno che quasi non si vede. Qui, c’è una piastrina di metallo con un piccolo foro e un cartellino con la scritta “Probabile struttura armonica”. Così uno guarda il quadro e, contemporaneamente, è in grado di percepire la struttura armonica.

Luce e musica

• 1980 – Firenze – Uno spettacolo di luce

Lo spettacolo di luce in svolgimento(1980 – Firenze – Uno spettacolo di luce – Bruno Munari – Piero Castiglioni – Davide Mosconi – Photo courtesy: Piero Castiglioni)

Nel dicembre del 1979 il Teatro Comunale di Firenze incarica Bruno Munari di progettare uno spettacolo di luce per il concerto di Scriabin Prometeo, che sarà eseguito nello stesso teatro nel marzo 1980. “Considerando questa richiesta come un progetto di design, Munari chiama a partecipare alla progettazione Davide Mosconi, musicista, e Piero Castiglioni, esperto di illuminotecnica. La partecipazione degli esperti è indispensabile alla riuscita di un progetto. Nelle intenzioni di Scriabin i suoni e le luci devono provocare simultaneamente nel pubblico una “attenzione diversa”, come risulta nelle sue annotazioni. La luce violentemente gialla delle lampada a vapore di sodio. La cosiddetta luce nera, o luce Wood, in realtà è di un bellissimo colore cupo e rende l’atmosfera come una nebbia viola. Lampade stroboscopiche come tanti lampi in continuazione, le saldatrici elettriche ad arco voltaico e infine i fili incandescenti al nikelcromo, usati per la prima volta da Livio Castiglioni nel soffitto alto dello scalone della Triennale di Milano. Ognuna delle sorgenti di luce è stata utilizzata per il proprio colore. La tecnologia scandiva il tempo della modificazione cromatica della luce”. (1)

  • 1987 – Italia – Milano – Palazzo Reale- “Bruno Munari” mostra antologica

In occasione di questa mostra l’architetto Piero Castiglioni ha eseguito la parte progettuale degli effetti luminosi speciali.

Bibliografia:
(1) “Uno spettacolo di luce”, Piero Castiglioni, Davide Mosconi, Bruno Munari, quaderni di design, 1984, Zanichelli, Bologna

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Questa sezione è dedicata al design e alla storia dell'architettura. Cercheremo con l'analisi storica di capire i bisogni attuali e quali saranno gli obiettivi futuri. Inoltre parleremo dei concorsi, le porte di accesso al mercato del lavoro, delle associazioni di settore e dell'indotto reale dietro le multinazionali produttrici di lampade.

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