Angelo Mangiarotti (autoritratto)
“Direi che il punto di partenza fondamentale, per progettare un oggetto di design, risiede nell’utilità che questo ha per la gente. Un oggetto che non nasce da una necessità non può essere neppure considerato come appartenente a questa categoria, il design.” Angelo Mangiarotti
Il 26 febbraio 2021 è una data significativa perché Cento anni fa nasce a Milano Angelo Mangiarotti. La Fondazione Vico Magistretti ha festeggiato i Cento Anni di Vico nel 2020. Consegue la laurea in Architettura al Politecnico di Milano nel 1948. Negli anni 1953-1954 svolge il ruolo di visiting professor all’Institute of Design dell’Illinois Institute of Technology a Chicago. Partecipa al concorso “LOOP” di Chicago dove conosce Frank Lloyd Wright, Walter Gropius, Mies Van Der Rohe, Konrad Wachsmann. Anche Nanda Vigo dopo la laurea parte per l’America dove collabora per Frank Lloyd Wright. Angelo Mangiarotti ritorna in Italia nel 1955 e apre uno studio con Bruno Morassutti, collaborazione che dura fino al 1960. Con lui firma la macchina per cucire modello “44” per Salmoiraghi nel 1958 e l’orologio da tavolo “Secticon CI” per un’azienda Svizzera nel (1961-1963). Nel 1963-1964 tiene un corso all’Istituto Superiore di Disegno Industriale di Venezia. Il suo linguaggio architettonico diventa l’espressione di un nuovo rapporto tra uomo e ambiente. La sua filosofia progettuale si ispira alle caratteristiche e alle possibili tecniche produttive; nascono così tipologie eterogenee: il distributore di chewing-gum per Rhea Vendors; la poltrona in poliuretano per Cassina (1965), la parete attrezzata “Cub 8” per Poltronova (1965).
(1955-Distributore di chewing-gum per Rhea – Angelo Mangiarotti – Photo courtesy: Pinterest)
Nel 1969 inizia la collaborazione con Skipper. Tra i soci fondatori dell’Adi ha avuto riconoscimenti in Italia e all’estero come il premio Olimpiade della Cultura per il progetto di un club per ragazzi al QT8 di Milano (1952) e il premio Aip (1972) per opere di edilizia industrializzata. La cucina “Cruscotto” per Snaidero (1974). Nel 1974 è visiting professor all’Ecole Politecnique Fédérale di Losanna, nel 1976 all’Univesity of Adelaide e al South Australian Institute of Technology di Adelaide; nel 1982 è professore a contratto presso la Facoltà di architettura di Palermo; nel 1983 è professore supplente presso la cattedra di Composizione alla Facoltà di Architettura di Firenze, nel 1989-90 è professore a contratto presso la Facoltà di Architettura di Milano. Dal 1986 al 1992 è art director della Colle Cristalleria. Nel 1989 fonda il Mangiarotti & Associates Office con sede a Tokyo. (1) Nel 1994 riceve il Compasso d’oro ADI alla carriera. Nel 1997 è professore a contratto presso il corso di laurea in Disegno Industriale della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Nel 1998 consegue la Laurea “Honoris Causa” in Ingegneria – Facoltà di Architettura. Technischen Universitat di Monaco. Nel 2002 riceve la Laurea “Honoris Causa” in Disegno Industriale – Facoltà di Architettura al Politecnico di Milano e tanti altri riconoscimenti. (2)
“Angelo Mangiarotti si differenzia dalle altre figure della prima generazione del design italiano per la sua capacità di adattare il prodotto da progettare alla sua funzione, al suo uso, alle caratteristiche e alle condizioni richieste dei materiali impiegati”. (3) Il seguente elenco conferma che nell’attività di designer Mangiarotti riserva un ruolo molto importante alla ricerca plastica. La sua ricerca, condotta sempre nel rigoroso rispetto delle caratteristiche della materia, è la definizione della forma dell’oggetto come qualità della materia. Tra gli oggetti di design elencati nella sezione Design della pagina Angelo Mangiarotti Foundation andiamo a selezionare le lampade. La prima lampada con diffusore in perspex massiccio è datata 1962, lampada in vetro soffiato “Lesbo” (1966), lampada in vetro soffiato “Saffo” (1966), lampada a soffitto componibile in materiale plastico “Cnosso” (1967), ganci in vetro “V+V” (Giogali) componibili per illuminazione, (1967), lampade in vetro soffiato (1967), lampada per esterni in cemento armato “Cementa” (1971).
(1971 – Lampada per esterni “Cementa” per Candle – Angelo Mangiarotti – Photo courtesy: Pinterest)
A proposito di pesi e spessori “corretti” spiegami la “Cementa” una lampada da esterni in cemento a vista…c’è un certo cortocircuito semantico, il cemento, pieno, massiccio che diventa oggetto luminoso?
….mi spiace deluderti, ma quella lampada ha una storia un po’…diversa, un po’ meno colta. Io lavoravo in Brianza a fare stabilimenti e tornando in macchina la sera c’era sempre…buio e nebbia, freddo, e sulla strada c’erano queste povere ragazze, prostitute che per scaldarsi bruciavano i copertoni…e mi è venuta l’idea di fare un oggetto che facesse luce e calore e sul quale loro potessero sedersi, e, dato che doveva stare sulla strada, funzionasse come un paracarro ….poi l’idea si è adeguata al mercato ed è diventata una lampada da giardino…
Una lampada diciamo … brutale. La durezza ha a che fare con al durata?
I miei colleghi non lo fanno tanto ma a me piace pensare che le cose che facciamo devono durare più di noi e per durare devo usare principi semplici, concetti elementari, materiali primari…la gravità non l’ho inventata io, l’incastro maschio e femmina nemmeno…
Dialogo tra Angelo Mangiarotti e Franco Raggi (4)
Lampade “Spirali” (1974), Lampada “Lara” (1978), Lampada “Egina” (1979), lampada “Alola” e lampada “Cerbero” (1980), lampade in alabastro “Elias” (1983), lampade in vetro di Murano “Boleto”, “Clessidra”, “Chierico”, “Accelsa”, “Sorella”, “Mezzagiara” (1985), Lampada “Etrusca” (1986), Lampade “Pericle” e “Paride” (1986), lampada da tavolo “Aida” e lampada a sospensione “Daisy” in vetro soffiato, lampada in vetro stampato “Pergamo”, lampada in alluminio “Techne” (1988), lampada per esterni “Dumbo” (1996), lampade “At Iovis” e “Sic Venus” (1997), lampada “Elios” (2002), lampade “Ono”, “Kino”, “Tema”, “Plexi 2” (2005),
(1966 – Lampada da tavolo “Lesbo” per Artemide – Angelo Mangiarotti – Photo courtesy: Pinterest)
Giogali, disegnato per vistoso nel 1967 è il sistema di illuminazione modulare che ha rivoluzionato il modo di usare il vetro. Una interpretazione moderna del tradizionale lampadario veneziano. La caratteristica del progetto è la sua modularità. L’elemento base è, infatti, un anello piegato in vetro soffiato che, agganciandosi ad altri anelli, può dare vita a composizioni infinite. Tutti i ganci in vetro sono realizzati a mano. Un incontro magico tra design e artigianato.
(Lampada a sospensione “Giogali” per Vistosi – Angelo Mangiarotti – Photo courtesy: Pinterest)
Da dove nasce questo tuo amore per il fare, per la manualità, per la materia?
Mio padre era panettiere, faceva il pane, lo faceva lui, aveva la bottega in Via Bocchetto a Milano, dietro la Banca d’Italia, vicino all’Ambrosiana…Sotto la bottega, sopra la casa, io sono nato lì sopra. Certe cose non dovrei dirle, però… é vero che quando da ragazzino andavo a scuola uscivo dal negozio e vedevo questa pasta che cresceva…
Ma a che ora uscivi…all’alba?
No… non era la pasta del pane era quella degli sfilatini affettati che si chiamavano “brutti e buoni”..insomma io questa pasta, la toccavo, l’annusavo e credo che il senso primo della materia che è qualcosa con cui si possono fare certe cose e non altre, certi spessori, certe forme, e che c’è un modo di farle bene…una serie di gesti e di ingredienti, in qualche modo abbiano a che fare con il mio modo di sentire…però non so come, e allora è meglio non dirlo.
Spessori, forme, odori, manualità, hanno più a che fare con il design che con l’architettura?
Anche l’architettura, si tocca si sente, magari “si pesa” con altri sensi, ma quello che ho sempre cercato è il senso della materia, di ogni materia dal cartone all’oro…certo negli ultimi tempi cerco di manipolare materiali con una tecnologia più evoluta.
Che tipo di evoluzione? Ti interessano i nuovi materiali?
Mi interessano tutti specialmente quelli di sempre, dove cambia il modo, cambiano le possibilità di lavorazione.
(1966 – Lampada da tavolo “Saffo” per Artemide – Angelo Mangiarotti – Photo courtesy: Pinterest)
Ad esempio?
… questa è una rivista per i marmisti, una rivista di macchine per lavorare il marmo. Lì c’è innovazione. In Italia in questo settore siamo molto avanti, c’è competizione vera, ricerca. E le idee non vengono dagli architetti o dagli ingegneri, ma dai tecnici. Oggi si possono pensare forme di marmo con macchine che lavorano su quattro assi, cinque assi contemporaneamente. Prima si lavorava sui soliti tre.
Il tuo lavoro ha a che fare con la necessità della tecnica rispetto alla libertà della forma?
Il problema è il solito, se io prendo un materiale e me ne frego e voglio fare il divo, la star, chiedo qualsiasi cosa pensando che qualcuno risolverà il problema perché tanto ci sono le tecnologie e oggi quasi qualsiasi forma é possibile e allora sono un povero cristo; io sono a mio modo religioso e dico: “in principio c’era la materia”, per dire che il materiale esiste con le sue ragioni e va affrontato con umiltà, bisogna conoscerlo, sentirlo, sapere cosa può fare e cosa puoi fargli fare, senza snaturarlo. Cercare i suoi limiti. Questo vale per l’architettura, per il design, per la scultura.
Chi è stato il tuo maestro?
Non credo ai maestri ma a quelli che ti aprono la testa, a me l’ha aperta Ernesto Rogers
(Ernesto Nathan Rogers – Lodovico Barbiano di Belgiojoso, and Enrico Peressutti – Photo courtesy: Pinterest)
Al Politecnico?
No eravamo internati in Svizzera dopo il ’43. Per motivi diversi non eravamo molto d’accordo con il fascismo e ci siamo ritrovati a Zurigo dove c’erano personaggi straordinari uno era Max Bill, e andavamo a trovare Rogers, a volte gli portavamo delle sardine, e discutevamo di tutto e Rogers mi ha appassionato parlando di architettura e di arte. Nell’ultimo periodo eravamo a Vevey a da lì si vedevano di notte i bagliori dei villaggi in Alta Savoia che bruciavano e io gli ho detto: “Ernesto tu sei ebreo e hai una certa età, ma io non posso rimanere qui”, e così ho riattraversato il confine e sono andato a fare il partigiano in Val d’Ossola.
L’Ernesto aveva questa passione per l’insegnamento, per la discussione per la formazione.
E poi?
… finita la guerra mi ha chiamato a lavorare nello studio BBPR, non ero laureato studiavo e lavoravo lì, per qualche anno; Un giorno l’Ernesto mi dice “fami una ricerca di tutti gli edifici alti in Italia”, che voleva dire le torri. Stavano iniziando gli studi per la Torre Velasca. Poi sul progetto finale non ero tanto d’accordo, ma non importa perché lui e anche Belgiojoso e Peressutti erano delle persone splendide.
Questo voler evitare la forma, lo stile a favore del metodo, dell’etica del progetto?
L’etica non so, semmai evitavano la retorica. Un giorno max Bill mi chiede cosa penso di Louis Kahn, e io gli rispondo, dimmi cosa ne pensi tu! E lui mi dice che non gli sembra un buon architetto, nel senso che, a parte le sue, non insegna a fare buone architetture. Ecco il maledetto problema è che ad un certo punto in Italia i progetti degli studenti erano tutti Louis Kahn, poi finito Kahn, Aldo Rossi, poi i decostruttivisti, poi i minimalisti; il problema della nostra cultura è di essere subalterna, imitativa, provinciale, non viene premiata l’originalità….
Cos’è per te il disegno?
Tutto, se parlo disegno, se disegno parlo.
(1960 – Edificio per abitazioni via Quadronno Milano – Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti – Photo courtesy: Pinterest)
Come si fa a progettare in tanti, credi possibile il progetto partecipato?
Anni fa ero a Tokio in una via di piccole case tradizionali. Ho visto una donna che camminava con un bambino in spalla e trasportava un pannello di legno e bambù tra le braccia. L’ho seguita, è arrivata ad una casa dove c’era un pannello eguale ma tutto sfondato, l’ha preso l’ha buttato via e ha messo quello nuovo. Voglio dire che gli elementi dell’abitare e della casa per quella cultura erano semplici, intimamente connessi alla vita quotidiana, gestibili autonomamente, non misteriosi, complicati, né piovuti dall’alto… tu a casa tua una parete da solo non la sposti.
Allora più che do progetto partecipato parli di progetto condiviso?
La conoscenza, Il sapere. Noi viviamo, abitiamo spazi, usiamo oggetti dei quali non sappiamo quasi niente. Come sono fatti, perché sono fatti così e non in un altro modo, da dove vengono… però magari sono “firmati”. Ecco a me non interessa firmare, mi interessa lavorare su progetti umanamente generosi.
Dialogo tra Angelo Mangiarotti e Franco Raggi (5)
Bibliografia:
(1) Anty Pansera, Dizionario del design italiano, Milano, 1995, Cantini Editori
(2) https://angelomangiarottifoundation.it/biografia/
(3) https://angelomangiarottifoundation.it/design/
(4) Courtesy Franco Raggi: Dialogo tra Angelo Mangiarotti e Franco Raggi
(5) Courtesy Franco Raggi: Dialogo tra Angelo Mangiarotti e Franco Raggi
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Questa sezione è dedicata al design e alla storia dell'architettura. Cercheremo con l'analisi storica di capire i bisogni attuali e quali saranno gli obiettivi futuri. Inoltre parleremo dei concorsi, le porte di accesso al mercato del lavoro, delle associazioni di settore e dell'indotto reale dietro le multinazionali produttrici di lampade.