Gianni Versace (autoritratto)
“Non sono interessato al passato, se non per il fatto che è la via per il futuro.” Gianni Versace
Il protagonista di questo articolo è un’icona della moda italiana. “La nascita del prêt-à-porter: come necessità di esprimere nuove esigenze e di dare forma a nuove realtà sociali diverse. Io ho fondato la mia società nel 1975, Gianni Versace nel 1978, come Gianfranco Ferré. Krizia e i Missoni lavoravano già da anni. (…) A quindici anni dalla sua scomparsa, quale ricordo conservo di Gianni Versace? Quello di una fantastica esuberanza, di un senso di allegria che tutto mescola – idee, tendenze, memorie, arte – con una specie di noncurante vitalità. Era un grande creatore, e il passare degli anni non fa che sottolineare quello che era il suo talento.” (1) Giorgio Armani
(Gianni Versace – Valentino – Giorgio Armani – Gianfranco Ferré – Photo courtesy: Pinterest)
Raccontiamo attraverso le parole di Chiara Baldacci, il progetto illuminazione per la mostra Gianni Versace – L’abito per pensare, allestita nella Sala della Balla al castello Sforzesco di Milano nel 1989. Gianni Versace propone se stesso, la propria storia e le proprie collezioni in una grande mostra antologica affidando il progetto all’architetto Gianfranco Cavaglià (assistente di Achille Castiglioni a Torno). “La cosa più straordinaria della vicenda è stato il coraggio di Versace. Si è prestato a farsi studiare” ha dichiarato Nicoletta Bocca che con Chiara Buss ha curato l’allestimento, Piero Castiglioni si occupa dell’illuminazione mentre Heinz Waibl redige il progetto grafico della mostra. In questo periodo, ci racconta l’Architetto Piero Castiglioni, il CEO di Gianni Versace è Claudio Luti.
“Io sono un sarto. Quando sono arrivato a Milano da Reggio Calabria tutto quello che avevo imparato da mia madre l’ho dovuto dimenticare perché c’erano altri termini, altre tecnologie. Poi man mano ho scoperto che il suo insegnamento era ancora valido. Ho scoperto che il vero artista è l’artigiano. Mi fanno ridere certi stilisti che dicono di non essere sarti. Certo, visti i loro abiti, salta subito all’occhio. Secondo me, invece, il vero artista è quello che realizza le cose con le sue mani. Uno stilista quindi deve essere un sarto.” (2)
Gianni Versace, 1990
(1989 – Italia – Milano – Castello Sforzesco – Gianni Versace – L’abito per pensare – Photo courtesy: Piero Castiglioni)
Ogni progetto di illuminazione musei racchiude una sua filosofia, una storia, un suo percorso, delle suggestion che portano allo sviluppo di un concept, con l’obiettivo di trovare sempre soluzioni non invasive rispetto allo spazio espositivo, in accordo con le altre figure professionali e la committenza.
“Di tanto in tanto, qualcuno creava pericolosi ingorghi arrestandosi davanti a un capo particolare: l’ abito della memoria, per esempio, l’ omaggio che lo stilista calabrese ha dedicato alla madre in occasione della mostra, un vestito lungo da gran sera, nero, nel quale Versace ha voluto incarnare il ricordo di un capo intravisto da bimbo nella sartoria materna. Oppure il costume disegnato per Erodiade nella Salomé di Richard Strauss messa in scena alla Scala nel gennaio 1987. O ancora il cappotto di nappa anilina marrone presentato da Gianni nella prima sfilata fatta con la sua griffe.” (3) Guido Vergani
La mostra si articola in sei sezioni a sottolineare un percorso di tipo cronologico. La sala della Balla presenta diversi vincoli: la pianta rettangolare, grandi finestre che permettono l’ingresso della luce diurna, una considerevole altezza (10 m), e l’uscita coincidente con l’entrata. Una passatoia sottolinea il percorso definitivo, unico, per condurre senza incertezze il visitatore, mentre i titoli grandi di ogni singola sezione forniscono una prima informazione.
(1989 – Italia – Milano – Castello Sforzesco – Gianni Versace – L’abito per pensare – 1 Photo courtesy: Piero Castiglioni)
“L’utopia del passato” è la prima sezione della mostra, rappresenta memoria attualizzata della sartoria materna ai primi abiti del prêt-à-porter per la linea Callaghan, Genny, Complice che sono presentati su una pedana continua in metallo e illuminati con una batteria di proiettori-rifrattori muniti di lente Fresnel, collocai a dieci metri di altezza, in prossimità del soffitto della Sala e orientati verticalmente (perpendicolari al suolo). Si ottiene così una luce zenitale e un’illuminazione omogenea dell’intera superficie espositiva. Gli apparecchi sono tenuti fuori del campo visivo del pubblico e vengono annullati dalla grande altezza, gli eventuali fasci di luce superflua sono controllati da un sistema di alette. La seconda sezione “Il capolavoro sconosciuto” si articola in un percorso cronologico a sottolineare l’esistenza di una continuità di stile e di coerenza progettuale come se le collezioni fossero brani di un racconto unico e interrotto. Su ciascun abito viene puntato un proiettore con fasci paralleli, consentiti dalla grande distanza della sorgente ( 5 m) e dall’ottica della lampada stessa, con assenza di ombre portate in quanto vengono assorbite da una griglia metallica appositamente posizionata al suolo. I capi estremamente illuminati sembrano emergere dal buio come isolati protagonisti.
Nella terza sezione “La mise en scène”, dedicata al teatro e alla moda, si è cercato di ottenere un effetto cinetico: luce in movimento per accentuare la caratteristica propria dei costumi inseriti nei boccascena e partecipi della stessa. Qui sono stati utilizzati apparecchi ti tipo specifico (teatrale) per avere effetti di luce frontale, di taglio, di ribalta, di quinta luminosa al fine di permettere agli abiti-personaggio di vivere tutte le suggestioni che un palcoscenico offre.
(1989 – Italia – Milano – Castello Sforzesco – Gianni Versace – L’abito per pensare – 2 Photo courtesy: Piero Castiglioni)
Il percorso della mostra prosegue con le sezioni: la reinvenzione della materia (analisi storico-critica dei materiali, tessili e non, impiegati dallo stilista) , la forma del progetto (l’abito di carta, nel disegno della fase progettuale, nel cartamodello che determina il passaggio dal progetto al prototipo, nell’immagine che lo investe di significati e messaggi. Una sezione per seguire la via dell’abito come oggetto industriale e commerciale) e l’alfabeto stilistico (una lettura trasversale che vuole individuare i caratteri stilistici di Versace, le lettere che compongono il suo alfabeto di espressione). Per queste ultime tematiche l’allestimento ha operato una scelta espositiva unica, su una ribalta senza soluzione di continuità, creando un “corrimano-mise à distance” perimetrale agli spazi espositivi con la duplice funzione di protezione degli elementi esposti e di sostegno del materiale didascalico, su trasparente che correda il percorso. A tale corrimano si è anche affidato il compito di illuminare: esso contiene una fila continua di lampade che rimangono totalmente nascoste alla vista, garantendo l’obiettività di visione con la luce antistante allo spettatore e prossima al suo asse ottico. (4)
Bibliografia:
(1) Tony di Corcia. Gianni Versace: la biografia, Torino, 2012, Lindau
(2) Minnie Gastel. Il mito Versace, Milano, 2007, Baldini Castoldi Dalai editore
(3) Archivio: la Repubblica – 1989.04.14 – Anche “L’abito fa pensare” se lo firma il grande stilista
(4) Courtesy Chiara Baldacci: articolo pubblicato su Flare – Architectural Lighting Magazine – n°2 – aprile 1990 – pag. 6
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Questa sezione è dedicata al design e alla storia dell'architettura. Cercheremo con l'analisi storica di capire i bisogni attuali e quali saranno gli obiettivi futuri. Inoltre parleremo dei concorsi, le porte di accesso al mercato del lavoro, delle associazioni di settore e dell'indotto reale dietro le multinazionali produttrici di lampade.